29 March, 2024
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1.907 giorni dopo quel 22 dicembre 2017 che segnò nello stabilimento di Portovesme il primo passaggio del cambio di proprietà tra la multinazionale Alcoa Trasformazioni e Sider Alloys, alla presenza delle massime istituzioni regionali, dell’amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri e delle organizzazioni sindacali, Carlo Calenda, allora ministro dello Sviluppo economico del Governo Gentiloni (aveva ricoperto lo stesso incarico anche nel precedente Governo Renzi), oggi senatore della Repubblica e leader politico di Azione, è tornato a Portovesme, in visita agli stabilimenti Sider Alloys ed Eurallumina, per rendersi conto in prima persona dello stato di avanzamento delle due vertenze.

Il primo incontro lo ha avuto alla Sider Alloys, successivamente si è recato in Eurallumina e al termine del secondo incontro ha tenuto una breve conferenza stampa.

Al termine del suo breve intervento, hanno parlato Antonello Pirotto, lavoratore Eurallumina e per molti anni della vertenza leader della RSU aziendale, e Claudia Mariani, coniuge di un lavoratore ex Alcoa, da anni al fianco dei lavoratori nella battaglia per la difesa del lavoro.

Allegata l’intervista al senatore Carlo Calenda.

La coalizione di centrodestra a trazione Fratelli d’Italia s’è imposta nettamente anche in Sardegna, dove è maturato, inoltre, un risultato del Movimento 5 Stelle superiore ad ogni previsione e/o sondaggio della vigilia, intorno al 22% sia alla Camera del deputati sia al Senato. E’ crollata in misura assai marcata l’affluenza, scesa al 53,1% (-12%): in pratica un sardo su due non è andato a votare. 

La coalizione di centrodestra ha ottenuto il 40,52% alla Camera ed il 40,44% al Senato; la coalizione di centrosinistra il 26,96% alla Camera ed il 27,13% al Senato.

Il Movimento 5 Stelle, senza alleati, ha raggiunto ben il 21,80% alla Camera ed il 21,94% al Senato.

Sotto il 5% sia alla Camera, 4,61%, sia al Senato, 4,43%, la lista formata da Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi.

Fratelli d’Italia è il primo partito con circa il 22,58 al Senato, 23,59% alla Camera; precede il M5S (21,94% al Senato e 21,80% alla Camera) ed il il Pd (19,77% al Senato e 18,60% alla Camera). Forza Italia raggiunge il 9,35% al Senato e l’8,54% alla Camera, in netto calo la Lega, 6,95% al Senato e 6,28% alla Camera.

La Sardegna sarà rappresentata a Roma da 16 parlamentari, 9 in meno rispetto ai 25 dell’ultima legislatura.

I 16 parlamentari eletti in Sardegna. I senatori Marcello Pera (FdI), Antonella Zedda (FdI), Giovannino Satta (FdI), Marco Meloni (Pd) e Sabrina Licheri (M5S). Alla Camera i quattro vincitori dei quattro collegi, e cioè Dario Giagoni (Lega), Barbara Polo (FdI), Gianni Lampis (FdI), Ugo Cappellacci (Forza Italia). Nel proporzionale alla Camera, sono stati eletti Salvatore Deidda (FdI), Francesco Mura (FdI), Pietro Pittalis (Forza Italia), Silvio Lai (Pd), Emiliano Fenu (M5S), Susanna Cherchi (M5S), Francesca Ghirra (Alleanza Sinistra-Verdi) che ha avuto la meglio su Romina Mura (Pd).

La coalizione di centrodestra a trazione Fratelli d’Italia s’è imposta nettamente anche in Sardegna, dove è maturato, inoltre, un risultato del Movimento 5 Stelle superiore ad ogni previsione e/o sondaggio della vigilia, intorno al 22% sia alla Camera del deputati sia al Senato. E’ crollata in misura assai marcata l’affluenza, scesa al 53,1% (-12%): in pratica un sardo su due non è andato a votare. 

La coalizione di centrodestra ha ottenuto il 40,52% alla Camera ed il 40,44% al Senato; la coalizione di centrosinistra il 26,96% alla Camera ed il 27,13% al Senato.

Il Movimento 5 Stelle, senza alleati, ha raggiunto ben il 21,80% alla Camera ed il 21,94% al Senato.

Sotto il 5% sia alla Camera, 4,61%, sia al Senato, 4,43%, la lista formata da Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi.

Fratelli d’Italia è il primo partito con circa il 22,58 al Senato, 23,59% alla Camera; precede il M5s (21,94% al Senato e 21,80% alla Camera) ed il il Pd (19,77% al Senato e 18,60% alla Camera). Forza Italia raggiunge il 9,35% al Senato e l’8,54% alla Camera, in netto calo la Lega, 6,95% al Senato e 6,28% alla Camera.

La Sardegna sarà rappresentata a Roma da 16 parlamentari, 9 in meno rispetto ai 25 dell’ultima legislatura.

Gli eletti sicuri sono già 13 su 16. I senatori Marcello Pera (FdI), Antonella Zedda (FdI), Giovannino Satta (FdI), Marco Meloni (Pd) e Sabrina Licheri (M5S). Alla Camera i quattro vincitori dei quattro collegi, e cioè Dario Giagoni (Lega), Barbara Polo (FdI), Gianni Lampis (FdI), Ugo Cappellacci (Forza Italia). Dei 7 candidati nel proporzionale alla Camera, sono certi dell’elezione Salvatore Deidda (FdI), Francesco Mura (FdI), Silvio Lai (Pd) ed Emiliano Fenu (M5s).

Sono ancora in corsa per gli ultimi tre posti, Lina Lunesu della Lega, Pietro Pittalis capolista di Forza Italia, Romina Mura, seconda nella lista del Pd, Francesca Ghirra capolista dell’Alleanza Sinistra-Verdi. Sperano anche la quarta nella lista FdI Manuela Lai e la terza della lista del M5S Susanna Cherchi.

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«E’ giunto quindi il momento che l’AD di Sider Alloys Giuseppe Mannina, esprima chiaramente quali sono le sue intenzioni; ovverosia se gli impegni assunti il 15 febbraio 2018, quando sottoscrisse alla presenza dell’allora ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda l’accordo per l’acquisizione dello smelter, sono ancora attuali e validi. Se lo sono rompa gli indugi, firmi l’accordo e, di concerto con le parti sociali, le istituzioni provinciali, regionali e nazionali, dia il via alla reindustrializzazione del sito. Dia il via alla ricollocazione di tutti i lavoratori. Se non lo sono, ci spieghi i motivi per cui ha cambiato idea e si faccia immediatamente da parte. Ma se questa situazione di stallo dovesse perpetrarsi, è compito di tutte le istituzioni coinvolte, Regione compresa ma in particolare del MISE, quale titolare pieno della vertenza, intervenire per fare chiarezza obbligando la multinazionale svizzera ad assumersi fino in fondo, in un senso o nell’altro, le proprie responsabilità. I lavoratori e le loro famiglie meritano rispetto e risposte certe e definitive sul proprio futuro.»

Il consigliere regionale del Partito Sardo d’Azione Fabio Usai, interviene stamane con fermezza sulla situazione in cui versa la vertenza per il riavvio della produzione nello stabilimento ex Alcoa di Portovesme, oggi Sider Alloys, a poche ore dal rilancio dello sciopero ad oltranza annunciato ieri dalle segreterie territoriali FIOM, FSM, UILM e CUB.

«Da tempo ormai i lavoratori ex Alcoa, in minima parte oggi riassunti dalla Sider Alloys, manifestano legittimamente la loro preoccupazione contro le incertezze inerenti il prosieguo della vertenza per la ripartenza della fabbricaaggiunge Fabio Usai -. E nello specifico sulle lungaggini sorte nella concretizzazione dell’accordo per la concessione delle tariffe energetiche riequilibrate fra ENEL e la multinazionale svizzera. Questi ritardi, ingiustificati secondo quanto dichiarato dal ministero dello Sviluppo economico che avrebbe esaurito i compiti di sua competenza sull’argomento, stanno mettendo a dura prova la condizione psicologica nonché economica dei lavoratori e delle rispettive famiglie. Perché ogni giorno che passa senza la concretizzazione di questo fondamentale passaggio per rendere competitiva la produzione di alluminio, è un giorno in più nel quale non viene presentato un piano industriale credibile per il revamping ed il riavvio della produzione e nel quale i lavoratori permangono senza un salario degno di questo nome; obbligati vivere solo grazie all’ormai risicato sostegno dell’ammortizzatore sociale in deroga – conclude Fabio Usai -. Identico discorso per coloro che, già occupati dentro la fabbrica, si sono visti ultimamente negare il rinnovo del contratto di lavoro, per la medesima ragione.»

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Domenico Arcuri, 57 anni, da 13 anni AD di Invitalia, è il commissario per l’emergenza Coronavirus. Calabrese, laureato in Economia e commercio nel 1986 all’università Luiss di Roma, ha iniziato a lavorare all’Iri. Dopo altre esperienze, nel 2007 è arrivato alla guida di Invitalia, da alcuni anni è il soggetto attuatore per la reindustrializzazione di aree di crisi, tra le quali c’è Portovesme. Ed è proprio nel polo industriale del Sulcis che ha assunto un ruolo fondamentale nella gestione della vertenza per la cessione dello stabilimento Alcoa. Il 22 dicembre 2007, infatti, l’incontro tenutosi in occasione della visita del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, si è concluso, nella sala mensa dello stabilimento di Portovesme, con l’ufficializzazione del passaggio di proprietà dalla multinazionale statunitense Alcoa ad Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa), rappresentata dal suo più alto dirigente, l’amministratore delegato Domenico Arcuri.

Domenico Arcuri ha seguito passo dopo passo la lunga e difficile vertenza per il rilancio della produzione nello stabilimento di Portovesme che conoscerà la prossima tappa il 19 marzo, con l’incontro in videoconferenza convocato dal vive capo di gabinetto del ministero dello Sviluppo economico, Giorgio Sorial.

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«È inaccettabile che a 23 mesi dall’acquisizione dello stabilimento Alcoa di Portovesme, in pompa magna di fronte ai cancelli con l’allora Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, grazie allo stanziamento (tramite forma di prestito agevolato e in parte a fondo perduto) di considerevoli risorse economiche pubbliche, centinaia di lavoratori del Sulcis Iglesiente non sappiano ancora oggi quale sarà il proprio destino occupazionale e quando verranno ricollocati in quella che un tempo era la “propria” fabbrica.»

Il consigliere regionale sardista Fabio Usai interviene nel dibattito sul fututo del polo industriale, in particolare sulla vertenza Sider Alloys.

«Inoltre è un fatto grave, che desta non poca preoccupazione, la volontà della multinazionale svizzera di voler avviare la procedura di cassa integrazione per le maestranze attualmente occupate dentro lo smelter – aggiunge Fabio Usai -. Una decisione presa, ha spiegato l’azienda, in quanto i percorsi per la definizione dell’accordo prospettato dal governo nazionale con Enel sulle tariffe energetiche, non si sono ancora conclusi positivamente e definitivamente. Ma perché questo accordo ancora non si è concretizzato?
Come è stato divulgato in ambito sindacale e dalla stessa azienda in svariate interlocuzioni, perché la Sider Alloys dichiara di non avere o di non voler mettere a disposizione le ragguardevoli (oltre 90 milioni di euro) risorse finanziarie per onorare la fideiussione bancaria pretesa quale garanzia dall’ENEL per sottoscrivere qualsiasi genere di intesa sulla materia energetica.»

«Un punto (quello della sproporzionata cifra richiesta da ENEL) su cui si è d’accordo e sul quale si auspica si arrivi (grazie all’intervento del MISE) a una rimodulazione al ribasso della cifra – sottolinea Fabio Usai –  Ma che, contemporaneamente, preoccupa sulla reale capacità e strutturazione finanziaria dell’azienda. Ci si chiede, infatti, cosa potrebbe accadere se, una volta riavviato lo stabilimento, ci dovessero essere problemi di mercato o improvvisi, quanto aggiuntivi e improcrastinabili, interventi manutentivi da effettuare? L’azienda avrebbe la strutturazione economica per far fronte a queste situazioni? Potrebbe sostenere i costi di esercizio (come spesso accade in questo settore per via degli inevitabili cicli economici che influiscono sul prezzo e la domanda del metallo) senza la liquidità economica garantita dalla vendita del proprio prodotto in periodi più o meno lunghi? Lo potrebbe fare mantenendo inalterata la forza lavoro e senza domandare ulteriori risorse economiche pubbliche?
Domande legittime, anche perché parliamo di una fabbrica di alluminio primario e non di un’attività imprenditoriale qualunque.
Tutto ciò anche in considerazione del fatto che la fabbrica di Portovesme è stata acquisita dalla Sider Alloys a COSTO NULLO e con una considerevole dote economica lasciata dal precedente proprietario Alcoa e dalla Regione Sardegna. Oltre, ovviamente, grazie all’ottenimento di un prestito di denaro pubblico a tasso estremamente agevolato.»

«Gli impianti, va ricordato senza timori, sono stati rilevati senza che la Sider Alloys abbia pagato un solo euro per essi – rimarca Fabio Usai -.
Ci si domanda quindi, alla luce di queste evidenze, quanto questa azienda voglia realmente investire nel Sulcis Iglesiente. Rispetto, anche, alla sua scelta di voler affidare gran parte dei lavori di pre-revamping interni alla fabbrica ad aziende provenienti da altre regioni italiane e non contribuendo così a favorire importanti quanto legittime ricadute economiche nel nostro martoriato territorio. Ma in questo momento l’aspetto che maggiormente lascia di stucco è proprio quello della volontà aziendale di aprire la cassa integrazione dimostrando così di non voler credere fino in fondo nella risoluzione della vertenza e dell’investimento produttivo. Soprattutto, dimostrando di voler utilizzare (strumentalizzandoli) ancora una volta i lavoratori quale leva di convincimento verso il governo nazionale senza tenere conto di ciò che questi padri e madri di famiglia hanno passato (al pari di ciò che stanno purtroppo ancora passando le centinaia di essi che sono in mobilità in deroga in attesa di ricollocazione) in tutti questi anni di sfibranti battaglie, di deprivazioni economiche e infinite attese per la riconquista del proprio lavoro.
I lavoratori che hanno lottato e creduto nella ripartenza della fabbrica (quelli già collocati e gli altri da ricollocare) meritano un’azienda responsabile e coraggiosa che sappia esprimere un management all’altezza della situazione e delle sfide produttive che la attendono e che non retroceda di fronte alle prime difficoltà lasciando il peso dei problemi sulla parte più debole della vertenza; ossia i lavoratori, i quali meritano, al pari dei cittadini e dell’intero territorio, un’azienda che investa e metta del suo. È ancora vivido, infatti, nella memoria di tutti noi il ricordo delle tante realtà imprenditoriali che dalla zona industriale di Iglesias fino alla stessa Portovesme, negli anni sono piovute dal cielo percependo laute sovvenzioni pubbliche che una volta esaurite hanno lasciato (nella complicità e nei silenzi di troppi attori istituzionali e sociali dell’epoca) macerie e cattedrali nel deserto. Stavolta queste situazioni non si dovranno ripetere. Perciò, è auspicabile che già dall’imminente vertice del prossimo 23 gennaio al Ministero dello Sviluppo Economico si trovino soluzioni per scongiurare la collocazione dei lavoratori in cassa integrazione, per addivenire a un accordo definitivo tra azienda e ENEL e, contestualmente, per riconoscere un ammortizzatore sociale CONGRUO per i lavoratori che ancora attendono di essere ricollocati nella propria fabbrica.»

«Nel frattempo – conclude il consigliere regionale del PSd’Az – la Sider Alloys cambi atteggiamento…»

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Lo aveva promesso e lo ha fatto questa mattina. A poche ore dall’ufficializzazione dell’accordo PD-M5S per la costituzione del nuovo Governo, Carlo Calenda, ex ministro dello Sviluppo economico, oggi europarlamentare, si è dimesso dalla direzione del Partito Democratico e dallo stesso Partito. Lo ha fatto pubblicando un lungo video nella sua pagina facebook, nella quale ha letto la lettera di dimissioni inviata al presidente ed al segretario del partito Democratico. «Penso che in democrazia si possano e si debbano stringere accordi tra chi ha idee diverse ma mai con chi ha valori opposti. Questo è il caso del M5S. Le ragioni le abbiamo spiegate ai nostri elettori talmente tante volte che non vale la pena ripeterle qui – scrive Carlo Calenda -. Non saranno 5-10 generici punti a far mutare natura a chi è nato per smantellare la democrazia rappresentativa, cavalcando le peggiori pulsioni antipolitiche e cialtronesche di questo paese. Sapete bene che nulla abbiamo in comune con Grillo, Casaleggio e Di Maio ed è significativo il fatto che il negoziato non abbia neanche sfiorato i punti più controversi, dall’Ilva alla Tav, da Alitalia ai Navigator. Un programma nato su omissioni di comodo non è un programma, è una scusa. Eviterò di commentare la decisione di cedere al diktat del M5S su Conte, in fondo esiste una perversa coerenza nella scelta di questo nome per guidare un Governo nato dal trasformismo. Nelle ultime ore siamo arrivati persino ad accettare un giudizio sull’accordo di governo da una piattaforma digitale privata che abbiano sempre giustamente considerato eversiva e antidemocratica…»

Vediamo aveva promesso e lo ha fatto questa mattina. A poche ore dall’ufficializzazione dell’accordo PD-M5S per la costituzione del nuovo Governo, Carlo Calenda, ex ministro dello Sviluppo economico, si è dimesso dalla direzione del Partito Democratico e dallo stesso Partito. o il video completo.

https://www.facebook.com/ccalenda/videos/1215638725288874/

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«La Sider Alloys deve rivedere completamente il piano dei costi e dei profitti perché la richiesta di pagare l’energia 24 euro a megawatt/ora era stata presentata poco più di un anno fa all’allora ministro Carlo Calenda quando il prezzo di mercato era di 44 €/Mgwh. Oggi però il prezzo è salito a 59 euro e utilizzando tutti gli strumenti a disposizione della politica il prezzo può abbassarsi soltanto fino a 39 €/Mgwh. Con i piani presentati da Sider Alloys, significa che così comunque per l’azienda i conti non tornano e che occorre presto riconsiderare drasticamente e nell’insieme tutti i costi.»

Lo afferma in una lunga nota pubblicata su Facebook il deputato del Movimento 5 Stelle Pino Cabras, che ieri ha partecipato a Roma all’incontro convocato dal ministero dello Sviluppo economico sulla vertenza della ex Alcoa di Portovesme e a cui erano presenti il vicecapo di Gabinetto del Mise Giorgio Sorial, il sottosegretario Davide Crippa, i rappresentanti del ministero del lavoro, il presidente della Regione Sardegna Christian Solinas, nonché esponenti di Invitalia, dell’azienda e dei sindacati.

«Rispetto al tavolo convocato a marzo, l’azienda ha colmato i molti ritardi per i quali l’attuale governo a muso duro aveva chiesto a Sider Alloys che si desse una smossa – spiega Pino Cabras -. In particolare, l’azienda ha concluso i contratti con la grande impresa cinese Chalieco-Sami e con altre imprese per il rimodernamento (revamping) degli impianti. E a differenza delle diapositive scarne della volta scorsa, stavolta il piano industriale è stato illustrato con indicazioni più precise sui ricavi e sui costi.»

Sul costo dell’energia però «il leader della Fim-Cisl Marco Bentivogli e l’ex titolare del Mise Carlo Calenda, giocano allo scaricabarile e invertono il principio di causa ed effetto – puntualizza il deputato 5 Stelle -. Nel corso dell’incontro è emerso infatti chiaramente che l’operazione tanto propagandata nel febbraio 2018 dal governo Gentiloni in fregola elettorale, era assolutamente incompleta. Il piano di abbattimento dei costi energetici non era pronto, come non lo era il piano industriale, e si sapeva solo che voleva portare il prezzo calmierato dell’energia al livello di 24 euro a megawatt/ora, in un’epoca in cui il prezzo era a quota 44 €/Mgwh. Nel frattempo, siccome il mercato dell’energia si muove senza citofonare a casa Calenda per chiederne il permesso, il prezzo è salito a circa 59 €/Mgwh».

«Per questo motivo – aggiunge Pino Cabras -. Invitalia, l’agenzia del Mise specializzata in sviluppo d’impresa e investimenti, ha proposto alla Sider Alloys un rapido e difficile adeguamento dei piani che riconsideri drasticamente e nell’insieme tutti i costi e soprattutto dei profitti attesi.»

«Gli uffici del ministero e di Invitalia lavorano a tempo pieno per una soluzione – assicura Pino Cabras – ma se le condizioni del mercato energetico, così sensibile anche agli eventi politici globali, dovessero peggiorare ancora? Gli elementi di vulnerabilità di tutta questa costruzione sono molto ingombranti. Chi faceva trionfalismo barava.»

«Al fondo rimane una questione, che pongo all’attenzione del governo e della giunta regionale – conclude Pino Cabras -. Occorre ripensare il modello di sviluppo del Sulcis, dove da decenni l’inerzia dell’interminabile declino industriale spinge a inseguire un’emergenza che diventa metodo di ‘sgoverno’. Bisogna riprogrammare tutte le risorse a suo tempo previste dal Piano Sulcis, uscire dalle monoculture e fare un vero revamping sociale.”

 

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Eurallumina e Sideralloys, se rimesse in marcia come deciso, occuperebbero 898 lavoratori. L’occupazione indotta nel territorio vale tra due e tre volte quel numero. Tenendoci all’ipotesi più cauta, l’occupazione totale corrispondente ammonterebbe a circa 2.700 unità: si recupererebbe una quota importante della preesistente occupazione generata dalla filiera dell’alluminio, valutata in 3. 550 unità con lo stesso metodo di calcolo. Si deve inoltre sommare l’occupazione per la ristrutturazione degli impianti, stimata in 420 lavoratori mediamente presenti nei cantieri per due anni. Bisognerebbe includervi anche l’occupazione diretta e indiretta connessa alla centrale Enel che, senza i clienti metallurgici, è destinata alla chiusura. A fronte di questo notevole beneficio occupazionale, il contributo pubblico a fondo perduto dei Contratti di sviluppo già sottoscritti dalle due aziende con Invitalia, è di “soli” 14,9 milioni di euro cui corrispondono investimenti per complessivi 295 milioni di euro. E’ ben vero che Invitalia eroga per i due Contratti anche un finanziamento di 151,4 milioni di euro ma questo è un prestito, da rimborsare in 8 anni a condizioni di mercato.

La prima conclusione è che con un contributo pubblico relativamente modesto, si ottiene un importante effetto sul lavoro. La seconda conclusione è che, se il lavoro è considerato sinceramente il problema principale, chiunque governi, a Roma o a Cagliari, dovrebbe agire per il riavvio di queste fabbriche. Gli effetti sociali sarebbero immediati. Il riavvio deve essere fatto rispettando le stringenti norme ambientali, ovviamente. Neppure può essere ignorato che la chiusura delle fabbriche ha impatti negativi sulla salute e sui tassi di mortalità delle popolazioni coinvolte. E’ documentato da tanti studi scientifici che la deindustrializzazione provoca incremento delle malattie, della mortalità, dei suicidi e della tendenza ai gesti estremi. Al riguardo, i numeri sono semplicemente terribili sebbene trascurati dagli opinionisti e dalle stesse autorità sanitarie.

Che cosa si frappone, dunque, verso l’obiettivo del riavvio delle due fabbriche? I fatti vanno richiamati con la maggior chiarezza possibile e senza spirito sterilmente polemico.

Eurallumina attende da un tempo infinito le autorizzazioni per iniziare l’investimento in un impianto tenuto in efficienza e dove vi ruotano a turno i lavoratori dipendenti. Cinque anni sono trascorsi, senza venirne a capo, tra le richieste di nuovi approfondimenti dei valutatori ambientali, il ministero dei Beni culturali che eccepisce questioni più proprie di un parco che non di un’area industriale e blocca quanto deciso dal Governo, una politica energetica erratica: ho visto l’Enel negare la possibilità di fornitura del vapore, poi, su impulso di Carlo Calenda, scoprire che invece si può fare, ora si dice, giustamente, che bisogna superare il carbone ma non si dice (grave errore) se e quando ci sarà il gas a Portovesme. Passano gli anni e insorgono nuovi ostacoli: cose importanti e sempre con i bolli a posto, per carità. Ma e il lavoro? E le persone che si ammalano per disperazione? Non contano? Nel mentre, altrove, è stato affrontato e risolto il caso ILVA di Taranto molto più complesso. E sempre nel mentre e in un altrove che si chiama Germania, Francia, Spagna, Irlanda, Grecia, impianti simili a Eurallumina sono in marcia. Domanda: perché non si dovrebbe fare nel Sulcis?

Veniamo a Sideralloys. I fatti, innanzitutto. Sideralloys è un’azienda con un socio privato nettamente maggioritario ma anche (non casualmente) partecipata dallo Stato attraverso Invitalia: il MISE ha tutti gli strumenti in mano per controllare direttamente e indirettamente che si attui quanto deciso e non ci siano ulteriori ritardi. Sommessamente bisogna ricordare che Carlo Calenda non è più al MISE da un anno e che ora c’è un altro ministro che sinora non ha mai ricevuto il sindacato. Domanda: se ne occupa? E si occupa, da ministro del Lavoro, anche di pagare gli ammortizzatori sociali in deroga? Per Sideralloys è stato fatto un Contratto di sviluppo ed è stato erogata una prima quota del finanziamento (25 milioni di euro). Su questo fronte il pubblico è in regola: tocca all’azienda essere puntuale nei suoi impegni e finora, a prescindere dalle motivazioni, non lo è stata. E tocca invece al Governo rispettare gli impegni sull’energia.

Il prezzo finale dell’energia dipende da quattro misure. Vediamolo dettagliatamente sebbene il discorso si faccia un po’ più tecnico. Due di queste, l’accesso al servizio di interrompibilità e la legge sull’alleggerimento degli oneri di sistema sono operative e, infatti, vi fanno ricorso, in Italia, centinaia di aziende ad alta intensità energetica, numerose anche in Sardegna. Un terzo elemento è il contratto bilaterale tra Enel e Sideralloys per la fornitura decennale dell’energia elettrica. In proposito, esiste un Memorandum d’intesa fra le due aziende. Domanda: si riesce a passare dal Memorandum al Contratto? Qual è la posizione dell’attuale Governo al riguardo? Il quarto elemento, già previsto e accordato dal MISE per arrivare al prezzo competitivo dell’energia, è l’accesso ad una quota della meno cara energia elettrica importata dall’estero per l’industria di base. Si conferma questa misura? E se no, che cosa si propone in alternativa?

E’ da auspicare che ci sia, in tutte le sedi decisionali, un atteggiamento ragionevole di conferma e attuazione di quanto già deciso. Non riesco, infatti, a comprendere quale sia il vantaggio e per chi, nel buttare tutto per aria.

Non sfuggo all’argomento di chi dice che “bisogna fare altro”. D’accordo in linea di principio e in linea pratica. Fare altro però non può essere a mio avviso, sostenere una cultura pregiudizialmente antindustriale come si manifesta in non pochi ambienti. Essen, città della Rhur tedesca, citata spesso ad esempio di riconversione, è stata capitale europea della cultura, ha una miniera-museo dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco ma conserva tanta industria, compreso, guarda caso, un impianto di alluminio primario che ha la stessa età anagrafica e tecnologica di quello di Portovesme. Sempre nella Rhur, a Voerde trovi un altro impianto analogo di alluminio primario. Per non parlare di quello di Amburgo, chiuso dall’Alcoa e riaperto dal governo tedesco. Domanda: qual è la ragione tecnica che rende impossibile di fare qui ciò che è stato fatto in Germania?

Ma torniamo al “bisogna fare altro”. Il Piano Sulcis destina il cinquanta per cento delle risorse ai settori dell’agroalimentare, del turismo, delle aziende innovative, della piccola impresa, dell’innovazione tecnologica, della scuola e delle infrastrutture funzionali a questi obiettivi, cioè porti dell’arcipelago, piccoli approdi, ciclovie, approvvigionamento idrico per l’agricoltura. Un altro trenta per cento è dedicato alle bonifiche e al risanamento ambientale. Il restante venti per cento è dedicato al comparto industriale tradizionale, risorse che però nella più gran parte rientreranno perché erogate a titolo di prestito al netto di circa 15 milioni di euro erogati come contributo a fondo perduto a Eurallumina e Sideralloys. Oltre cento piccole imprese del settore agroalimentare e del turismo hanno avuto accesso alle misure di incentivazione. Sette su nove dei progetti istruiti per Contratti di investimento maggiori di 1,5 milioni di euro, riguardano il comparto ricettivo del turismo. Tutte queste informazioni sono dettagliatamente pubblicate.

La pecca del Piano Sulcis, a mio avviso, non è nell’eccessiva attenzione ai settori tradizionali dell’industria ma in altri due fatti. Il primo è la lentezza dell’attuazione. Se è vero che più dell’ottanta per cento delle risorse è stato contrattualizzato, e il resto è comunque impegnato, solo il ventuno per cento delle risorse è stato pagato e quindi l’effetto reale sull’economia del territorio è definito da questo limite. Attenzione: i soggetti attuatori delle misure sono ben quarantaquattro: amministrazioni dello Stato, Assessorati regionali, Comuni, Provincia, Invitalia, Anas, Consorzi industriali, Igea, Enti delle acque, società di ricerca, etc. Salvo lodevoli eccezioni, per ragioni oggettive (vedi adempimenti di legge) e anche soggettive la performance non è positiva a prescindere dal colore politico delle diverse amministrazioni coinvolte. Chiunque governi si trova e si troverà con il problema di come accelerare la spesa con le procedure ordinarie, senza ricorrere alle ambigue procedure straordinarie. Potrei testimoniare che in questo decennio da parte di tutti si è parlato di semplificazione ed efficienza ma i fatti dicono che si è andati in direzione opposta.

Il secondo grave fatto è che il Piano Sulcis, piano straordinario prevalentemente finanziato dallo Stato, è stato trasformato in un piano sostitutivo dell’intervento ordinario. Al territorio sono mancate risorse di cui aveva diritto. Non ho mai nascosto che in questo c’è stata una precisa responsabilità della programmazione regionale.

In conclusione, corretto ciò che il nuovo Governo della Regione reputerà utile correggere, auspico che il Piano non sia abbandonato e sia portato a conclusione, perché canalizza verso il Sulcis Iglesiente, progetti che, tra capitali privati e pubblici già impegnati, valgono oltre milleduecento milioni di euro.

Tore Cherchi